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lunedì 30 novembre 2009

Zero esami. L'Università dei fantasmi

Nello scorso anno uno studente su sei non ha passato nemmeno un appello

http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/98132/

ANDREA ROSSI - LA STAMPA - TORINO

Gli emissari della facoltà di Lettere da qualche settimana si sono messi alle loro calcagna. Li cercano, li chiamano: «Lei è iscritto all’Università da oltre un decennio e non si è ancora laureato. Da anni non sostiene un esame. Che cosa intende fare?». L’obiettivo non dichiarato è accompagnarli gentilmente verso l’uscita, il più presto possibile.

A Lettere gli universitari di lungo corso sono circa trecento, iscritti alla laurea a ciclo unico, prima ancora della riforma del «3+2» del 1999. Di quasi tutti, l’Università ha perso le tracce da tempo. Fino a poco fa nessuno se ne curava: pagavano le tasse e non si facevano mai vedere, l’ateneo incassava senza dover offrire loro alcun servizio. Adesso, però, quei trecento - e quelli delle altre facoltà di Università e Politecnico - rischiano di trasformarsi in una zavorra. La riforma voluta dal ministro Gelmini parla chiaro: gli atenei saranno premiati anche in base alla «produttività», cioè la percentuale di iscritti che poi si laureano, e lo fanno senza essere fuori corso.

Il guaio è che i fuori-corso di lungo periodo sono solo la punta dell’iceberg. Sotto c’è una massa di universitari che risulta iscritta ma di fatto non esiste: non va a lezione, non dà esami, e se li dà non li supera. Il dato - elaborato dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario - è desolante: nel 2008 quasi uno su cinque, a Torino, non ha ottenuto nemmeno un credito formativo. Significa che non ha superato esami né laboratori.

Università o Politecnico fa poca differenza: 17,2 per cento contro 16 per cento, dati leggermente sotto la media nazionale e lontani da certi eccessi (La Sapienza 34 per cento, Bari 32, Messina 30) ma che fanno pur sempre riflettere. «Nella maggioranza dei casi si tratta di studenti al primo o secondo anno che si accorgono di aver sbagliato facoltà», spiega il preside della facoltà di Lingue Paolo Bertinetti. Vero, entrambi gli atenei torinesi perdono circa il venti per cento delle loro matricole: 2550 in via Po e un migliaio in corso Duca degli Abruzzi. «Tentano un paio d’esami, non li passano e si arrendono», dice Bertinetti. «Con la crisi sono aumentati - aggiunge il preside di Ingegneria I Donato Firrao -. Ci provano, magari prendono anche la borsa di studio e se non va si ritirano».

Resta un dato: secondo il Cnvsu l’anno scorso i «desaparecidos» sono stati oltre 11 mila all’Università e 4 mila al «Poli». Ci dev’essere qualcos’altro, allora. «Il 3+2 ha dilatato la durata degli studi e fatto lievitare i fuori corso», analizza Bertinetti. Gli studenti individuano altri fattori: «Le differenze sono marcate tra le facoltà in cui c’è obbligo di frequenza e quelle in cui non c’è, tra i corsi a numero chiuso e quelli liberi, tra gli studenti con una borsa di studio e gli altri», racconta Luca Spadon, rappresentante degli studenti all’Università.

Non è finita: alcune facoltà, vedi Economia, piazzano all’inizio esami «sbarramento». «E tutto è organizzato sulle esigenze dei docenti anziché degli studenti. Non a caso gli appelli sono stati ridotti e concentrati: ci si trova a sostenere parecchi esami in un colpo solo», dice Spadon. Senza contare chi lavora e, a volte, finisce per perdere di vista l’università: «Abbiamo ragazzi di 28-30 anni, fuori corso da 4 o 5 che cominciano a lavorare e così si allontanano “psicologicamente” dall’ateneo», spiega Bernardino Chiaia, vicerettore per la Didattica del Politecnico.

Gli atenei sono corsi ai ripari. Al Politecnico, già l’anno scorso, hanno anticipato l’orientamento per gli studenti. «Negli ultimi due anni delle superiori lavoriamo con le scuole. Cerchiamo di introdurre già la metodologia universitaria e spiegare come si affrontano gli studi», spiega Chiaia. L’immagine, però, è quella di un parcheggio di massa, che la crisi forse ha ingigantito. Le matricole quest’anno sono cresciute di molto. Non sempre è sinonimo di qualità. «Al test d’ingresso di Scienze della formazione, che non è vincolante, su un punteggio massimo di 100 c’è chi è riuscito a prendere -20», racconta Spadon. A Scienze della formazione nel 2008 uno studente su quattro non ha dato esami.