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venerdì 16 ottobre 2009

Piano di riorganizzazione del Politecnico di Torino per l’a.a. 2010/2011

Quando si tratta del nostro futuro vogliamo essere noi a decidere.

http://colpo.org/ il 12/10-09 alle 11.10 in Politecnico - Il senato accademico si prepara ad approvare un piano di riorganizzazione dell’ateneo per l’a.a. 2010/2011. Una riorganizzazione in linea con le direttive ministeriali, che sembra più un amaro adeguamento economico piuttosto che una riforma voluta e pensata per migliorare la nostra università. Il 28 ottobre scorso il rettore Profumo lasciava queste dichiarazioni a “La Stampa”:
"Se il Governo non cambierà strada, convocando i rettori, ritirando tagli insostenibili e aprendo la via a una seria riforma dell'università, non potrò che dimettermi, insieme agli altri rettori italiani."
Ad un anno di distanza, non possiamo che prendere atto della coerenza del governo nel portare avanti un progetto politico che mira sempre più a una distruzione della scuola pubblica in tutti i suoi livelli (da quella elementare fino all'università), e contemporaneamente non possiamo che ridere (furiosamente) dell'incoerenza di chi prometteva battaglia a questi provvedimenti, parlando addirittura di dimissioni ai giornali, e che invece si è ricandidato alle elezioni di rettore l'anno scorso e adesso propone una riforma figlia di quella stessa legge tanto criticata.
Il nostro caro rettore vuole, evidentemente, a tutti i costi, rendersi complice di questo progetto politico, forse per smanie di grandezze e quindi per poter dire un giorno: "c'ero anche io, quando l'università pubblica moriva".
Questi sono i punti principali di una riforma molto radicale, della quale però non si parla (assomiglia ad un diktat!) e non si viene informati (ne siamo venuti a conoscenza da un articolo pubblicato su Repubblica!):
- chiusura dei corsi di laurea non economicamente sostenibili (cioè con un numero di iscritti inferiore a 150 per la triennale e 50 per la specialistica)
- possibilità di iscrizione all'anno successivo solo se raggiunto un numero minimo di crediti e l'introduzione di soglie per l'iscrizione alla specialistica.
- 1° anno comune per tutti i corsi di ingegneria con classi di 180 studenti, 2° anno diviso per aree disciplinari (Industriale, Ambientale/Civile/Edile, Informazione, Gestionale) e 3° anno diviso per corsi di laurea.
- conferma del corso di Disegno Industriale solo se ritenuto “sostenibile” da un apposita commissione
- accorpamento delle 2 facoltà di architettura.
- chiusura di tutte le sedi decentrate.
- riduzione del 10% del personale docente e tecnico-amministrativo.
A parte l'ultimo punto, dove la parola riduzione è sempre sintomo di peggioramento della qualità del servizio che si offre, molti sono gli interrogativi che sorgono spontanei e sui quali sarebbe opportuna una discussione aperta a tutti.
Ad esempio:
- l'inserimento di soglie di crediti per l'accesso agli anni successivi di insegnamento è una scelta che tiene conto di chi, per motivi economici, studia e contemporaneamente lavora per proseguire quegli studi? perchè deve essere l'università a dettare i tempi dell'apprendimento, sempre più serrati e frenetici, e sempre più lontani da quella "lentezza" capace di far riflettere sul mondo che ci circonda, su noi stessi e renderci più completi come individui?
- la chiusura delle sedi distaccate, uno dei temi tanto decantati anche dal governo come soluzione gli sprechi, è una scelta puramente economica o è una scelta che porta avanti l'idea di un polo culturale accentrato, per creare grandi spazi di aggregazione culturale? Se è veramente una scelta dettata da un’ idea e non dal bilancio (cosa improbabile di questi tempi), si è in grado di fornire alloggi e spazi didattici alle molte persone che si vedranno costrette a trasferirsi a Torino? Riuscirà l'edisu a farsi carico di tutte queste persone? Può il politecnico fornire aule adeguate, quando ci si ritrova già ora a fare lezioni in aule troppo piccole per il numero di studenti che seguono il corso?
- è giusto parlare di sostenibilità economica? è giusto che questa riforma universitaria, come quelle passate, sia una risposta a dei modelli economici imposti piuttosto che una risposta a un reale bisogno di miglioramento?....

Sembra evidente, quindi,che una riforma di tale portata, necessiti di una discussione molto lunga e approfondita e, soprattutto, debba coinvolgere la pluralità dei soggetti interessati.Ci sembra assurdo che gli studenti non siano stati nemmeno informati su questa riforma così radicale e che, ancora una volta, questi discorsi rimangano chiusi tra le mura di un senato accademico sempre più indifferente alla voce degli studenti.Una questione fondamentale da evidenziare, infatti, è la non partecipazione e l'unilateralità dei processi decisionali. La tanto decantata governance ovvero un processo governativo e decisionale che coinvolga più attori al fine di perseguire un unico e condiviso obiettivo di crescita, ovvero un processo che dovrebbe opporsi a decisioni dettate dall'alto lasciando spazio alla partecipazione, non è che una facciata, una maschera, che nasconde il volto reale di un modo di procedere e decidere unilaterale e dettato dall'alto. Chi di noi è stato dunque coinvolto in un processo di riforma della nostra università? O, ancora, chi di noi è stato almeno informato? Lo studente, l'attore fondamentale dell'università , la cui formazione rappresenta il motore di qualunque processo che la riguardi, è l'escluso per eccellenza.

Quando si tratta del nostro futuro vogliamo essere noi a decidere.

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